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Impresa familiare: i coniugi sono equiparati a conviventi e unioni civili?

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Agenzia delle Entrate e Inps hanno avuto modo di esprimersi in materia di impresa familiare alla luce delle disposizioni sulle unioni civili e le convivenze di fatto. Dalle loro circolari, tuttavia, ne esce una interpretazione “disallineata” fra il trattamento fiscale (riconosciuto dall’Agenzia) e il trattamento contributivo o previdenziale (previsto dall’Inps).
Il che significa che la questione dovrà essere ulteriormente approfondita.
Perché?

Secondo l’Agenzia delle Entrate i componenti di un’unione civile (prevista fra persone dello stesso sesso) e di una convivenza di fatto (tra persone di sesso diverso o uguale) possono assumere la qualifica di collaboratore dell’impresa familiare con l’attribuzione di una quota del reddito prodotto dall’impresa. L’Agenzia, dunque, ha equiparato i conviventi o i componenti di un’unione civile alla situazione dei coniugi.
L’Inps invece ha riconosciuto che questa equiparazione, ai fini previdenziali e contributivi, valga solo per i componenti dell’unione civile e non per i conviventi. Dunque ai primi sono riconosciuti gli stessi diritti e i medesimi obblighi previdenziali previsti per i coniugi che collaborano nell’impresa familiare mentre ai secondi è solo riconosciuta la possibilità di partecipare agli utili dell’impresa dell’altro convivente.
Secondo l’Inps, infatti, “anche con riferimento al campo di applicazione dell’istituto dell’impresa familiare, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale”, mentre “non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente gli stessi diritti o obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore”.
Un punto quest’ultimo che l’Inps dovrà in qualche modo rivedere.

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