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Affitto d’azienda e rischio di essere una società di comodo

Una società che sottoscriva un contratto con cui consegna ad altro soggetto l’unica azienda in affitto e per un canone eccessivamente basso potrebbe essere considerata una società di comodo cui verrebbe applicata la disciplina delle società non operative.


Così si è espressa di recente la Corte di Cassazione, che ha sottolineato come per non essere considerata di comodo, la società debba dimostrare un canone ragionevole. Cosa significa?
Nel caso affrontato dalla Cassazione, significa che il canone è stato ritenuto particolarmente incongruo a fronte della “plateale antieconomicità” delle spese di ristrutturazione sostenute per la struttura alberghiera oggetto di affitto. Dunque, se il canone fosse stato equo in relazione al complessivo investimento, la società non sarebbe risultata di comodo, indipendentemente dal conseguimento o meno dei ricavi minimi.
La sentenza osserva che la disciplina di non operatività è un elemento sintomatico della natura di non operatività della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto.
Le società dunque devono valutare bene quando sono di fronte a una simile eventualità. Per comprenderlo ancora meglio basti sottolineare che la Cassazione ha ripreso la nozione di “impossibilità” già richiamata in precedenti sentenze, nozione che va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, da riferirsi alle effettive condizioni del mercato. Quindi, se il mercato offre un canone di locazione per un immobile del tutto inadeguato rispetto alla potenziale redditività dell’immobile, l’immobiliare potrebbe decidere di non locarlo: questa non sarebbe qualificabile come sua scelta ma piuttosto come una causa di forza maggiore imposta dal mercato.

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